La mafia uccide solo d’estate

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Non amo particolarmente i film di mafia (e men che meno le fiction), specie quelle degli ultimi anni. Qualcuno potrebbe pensare che sono una di quelle persone che finge che la mafia non esiste, che chiude gli occhi  e va diritta per la sua strada, ma non è esattamente così. Quello che non amo di questi film è la speculazione: sembra quasi che a volte autori oramai privi di idee trovino rifugio  in argomenti di grande richiamo, triti e ritriti, che comunque fanno record di ascolti e di incassi, perché la gente ama i fatti di sangue, gli intrighi e tutto ciò che è losco ma allo stesso tempo veritiero. Si tratta di un vero e proprio sciacallaggio della nostra dignità che viene continuamente vituperata, mostrata al mondo intero con l’unico scopo di fare soldi, di incassare, di mettere denaro in cassa. Ma di noi, che quel periodo l’abbiamo vissuto e che ancora oggi facciamo i conti con una realtà poco felice, non importa niente a nessuno.

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Eppure devo ammettere che questo film, “La mafia uccide solo d’estate“, opera prima del regista Pierfrancesco Diliberto (che noi tutti conosciamo con il nome di Pif) fa eccezione. Forse perché è stato scritto e diretto da un ragazzo di Palermo, che quegli anni li ha vissuti davvero; forse perché la storia di quel terribile ventennio di guerra di mafia viene filtrata attraverso gli occhi innocenti di un bambino molto curioso; o forse perché questo film racconta il rapporto con la mafia che abbiamo tutti noi che siamo nati negli anni ’70, che ogni sera al telegiornale scoprivamo l’ennesima vittima, e quando preoccupati chiedevamo spiegazioni ai nostri genitori ci sentivamo dire che bastava non dare confidenza a nessuno e farsi i fatti propri, e tutto sarebbe andato per il meglio.

Pif oramai lo conosciamo tutti. Divenuto famoso come inviato delle Iene, da qualche anno conduce su MTV  “Il Testimone“, un programma di denuncia che racconta tante storie ma sempre con ironia e con uno stile che Pif ha reso unico.

Il film in realtà narra la storia d’amore tra Arturo e Flora, conosciutisi tra i banchi della scuola elementare. Arturo si innamora subito di Flora, ma non riesce mai a dichiararsi, neppure negli anni a venire, quando diventano adulti. A fare da sfondo a questa storia la Palermo degli anni 70 e 80, la Palermo delle guerre di mafia, la Palermo degli attentati con le autobombe, la Palermo abbandonata al suo destino dal governo italiano. E la mafia entrerà spesso nello sviluppo di questa storia d’amore, in modo a volte buffo e ironico. Perché in questo film si ride, e anche parecchio, perché Pif ha il dono di raccontare con leggerezza ed ironia anche fatti terribili, rendendoli spesso ridicoli e brutali allo stesso tempo. Ma contemporaneamente si piange, perché è impossibile rimanere impassibili di fronte alle tragedie che si sono consumate davanti ai nostri occhi.

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Difficile per me essere imparziale nel raccontare questo film: difficile perché io stessa, nata nel 1974, quel periodo l’ho vissuto esattamente come Arturo, ovvero attraverso le notizie che arrivavano dai telegiornali. Ricordi frammentari, scene crudeli e bruttissime dei corpi trucidati di tutte quelle persone che stavano lottando affinché le cose potessero cambiare. Questo film racconta l’evoluzione della coscienza dei palermitani, all’inizio intimoriti dal fenomeno mafioso, al punto quasi da fingere di non vedere, fino a quando è arrivato il 1992 e le stragi di Capaci e via D’Amelio. Da quel momento più nulla è stato come prima e ci si è resi conto che era meglio conoscere che ignorare tutto ciò che ci stava accadendo.

Forse questa mia recensione sarà troppo di parte, lo ammetto, ma non riesco ad essere distaccata ed imparziale. Questo film, che tra l’altro ha vinto il  Premio del pubblico al 31/o Torino Film festival, va assolutamente visto, sia che siate palermitani, siciliani o italiani. Il lavoro che ha faE non aggiungo altro.

Informazioni su Giusy Vaccaro 440 Articoli
Autrice del blog Io Amo La Sicilia. Nata e cresciuta a Palermo, amo la mia terra, nonostante le sue infinite contraddizioni.

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